Deejay, un mestiere che cambia

Ho iniziato che fare il DJ voleva dire occuparsi di tutta la serata, dal warm-up (la fase iniziale, quella di “preparazione” alla serata vera e propria) all’ultimo disco. Usando anche il microfono. Mettendo musica di ogni genere e ogni epoca cercando di divertirmi e di far divertire la gente in pista.
Ed è quello che continuo a fare. Da 21 anni.
Più passano gli anni e più mi rendo conto che rispetto a come si sta evolvendo il ruolo del DJ negli ultimi anni posso risultare un tantino anacronistico.
Perché non sono produttore di pezzi miei e nemmeno di remix o mashups.
Perché non riuscirei a fare un set di mezzora in una serata nella quale devo dividere la consolle con altri 4 colleghi.
Perché non mi avvalgo di uno o più vocalist ma faccio tutto da me.
Perché non ce la faccio, davvero non ce la faccio a salire in consolle con una playlist già preparata (o peggio premixata). Non critico chi lo fa, ognuno lavora come meglio crede, ma andare in consolle sapendo già cosa metterò, dal primo all’ultimo pezzo, proprio non fa per me.
Perché non capisco i DJ contest. Giudicare un DJ per una performance di 15 minuti è una faccenda squisitamente tecnica. E essere un buon DJ non è solo tecnica. È come voler giudicare un calciatore da come palleggia.
Ovviamente il mio anacronismo non riguarda la selezione musicale. Mi sono sempre tenuto aggiornato. Ci sono parecchie cose attuali che mi piacciono e le propongo con sincero piacere, altre mi piacciono un po’ meno, ma le passo lo stesso, perché mi rendo conto che hanno una grossa presa su parecchi. Altre invece proprio non mi vanno giù, e quelle nei miei set non finiranno mai. Ho sempre ragionato così.
Credo ci siano alcune caratteristiche del mio “anacronismo” che mi distinguono in positivo. Altre invece forse potrei modificarle ed adattarle ai “tempi moderni”. Ma penso che finché continuerò a divertirmi a farlo alla mia maniera il mio modo di essere DJ non cambierà.